Editoriale di Michela Arfiero




Ci sono albe in cui mi sembra che la giornata abbia origine direttamente dai sogni della notte precedente. Le origini, per me, hanno sempre qualcosa di nebuloso: avvolte nel mito, si spostano in un paesaggio vasto delle nostre conoscenze. A volte le sento vicine, altre le inseguo nei tratti antichi, nelle rovine, come qualcosa che mi precede e allo stesso tempo mi attende. Mi è però chiaro cosa non rientra nella mia percezione delle origini e, non è la legittimazione che il passato esercita sulla continuità del presente. Nemmeno il pensiero moderno è riuscito a dissolvere del tutto questa archeologia, non del sapere, ma del potere, per cui, voltandosi indietro e rifacendosi costantemente alle cosiddette “radici”, dittatori giustificano invasioni, nazionalisti identitari compiono massacri, e certi populisti pretendono di rivendicare la proprietà delle nostre origini.

Decido di non cercare il suo significato nei vocabolari, ma nel pensiero degli altri. Nelle loro parole, nei loro ritratti, nei loro gesti. Ritornano alcune materie – la ceramica per esempio – forme che si ripetono nel design o luoghi come l’isola di Salina o l’Orto Botanico di Padova, che tracciano narrazioni tra origini collettive e personali. In queste pagine aleggia inevitabilmente la presenza di Goethe, e le sue intuizioni. Da botanico irregolare, trovò nell’unione tra disegno e scrittura, tra pensiero e forma le tracce di quella famosa pianta archetipica: il modulo originario da cui si possono generare tutte le forme vegetali.

Mi domando se le origini siano dei fili conduttori. Penso al Big Bang, che avrebbe dato inizio all’universo come una singolarità, qualcosa che non ha un prima. Non abbiamo dubbi che l’evoluzione dell’universo ha avuto inizio, 13 miliardi e 800 milioni di anni fa, da uno stato di densità e temperatura estrema. Eppure, non abbiamo una prova definitiva che si trattasse davvero di una singolarità. La comparsa degli infiniti porta con sé dei dubbi: alcuni modelli teorici suggeriscono che il nostro universo è il risultato di processi precedenti. Semplicemente non abbiamo ancora gli strumenti concettuali, nelle nostre nozioni di spazio e tempo, per comprenderli.

Nell’opera di Gabriel Orozco, Mis manos son mi corazón, trovo un’immagine che si avvicina alla mia caotica idea di origini: due mani chiuse che, una volta aperte, danno forma a un cuore. Mani che creano, ma che sono anche un recipiente, un contenitore in una posizione verso l’altro. Matteo Trevisani scrive di origini e genealogia, e cita, in uno dei romanzi della trilogia, la madre mitocondriale, la madre di tutte le madri. L’“Eva mitocondriale”, una donna vissuta tra i 150mila e i 200mila anni fa da cui discendono tutte le linee di sangue. Per Simon J.Ortiz, poeta della nazione Acoma Pueblo, raccontare le storie delle proprie origini è un atto di sopravvivenza. Faccio una passeggiata come se fosse una cerimonia per connettermi con le origini di un luogo, di un paesaggio. Per ricordarmi che io, l’acero e le stelle abbiamo, in fondo, la stessa origine.



  • Terrence Malick, The Tree of Life. Film, 2011.
  • Alain Schnapp, La conquista del passato: Alle origini dell’archeologia. Johan & Levi, Milano 2025.
  • Johann Wolfgang Goethe, La metamorfosi delle piante e altri scritti sulla scienza della natura. Guanda, Milano 1999.
  • “L’universo prima del Big Bang?”, Le Scienze, n. 622, febbraio 2020. Articolo di Martin Bojowald e Abhay Ashtekar sulla gravità quantistica a loop: introduce il concetto che il Big Bang non è una singolarità ma una transizione da un universo precedente.
  • Gabriel Orozco, Mis manos son mi corazón, 1991.
  • Matteo Trevisani, Libro dei fulmini. Edizioni di Atlantide, Roma 2017. Libro del Sole. Edizioni di Atlantide, Roma 2019. Libro del sangue. Edizioni di Atlantide, Roma 2021.
  • Simon J. Ortiz, The People Shall Continue. Illustrazioni Sharol Graves. Children’s Book Press, San Francisco, CA 1977.
  • KAlan Sorrenti, “Figli delle stelle”, 1977.